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tratto dalla PREFAZIONE di Giovanna Marini
...... ho avuto modo di conoscere questa Tetralogia, dove un pezzo, "Pulecenella", è classico per l'ambientazione tipica della Commedia dell'Arte, gli altri: "Tabacco olandese", "Ofelia non mi piace!" e "Che guaio essere ammalati!" se ne discostano per mancanza di maschere tipiche pur rimanendo nell'ambito del teatro classico napoletano che va da Raffaele Viviani fino ad Eduardo Scarpetta. Quello stesso teatro che ha contribuito a formare la cultura tipica napoletana i suoi modi di dire e le sue famose frasi di saggezza. Giosuè Romano ne è un cultore. E, infatti, i suoi schemi di scrittura sono quelli tipici della commedia napoletana classica, nutrita di storie e canovacci; dalla Commedia dell'Arte fino al Boulevard (forma di teatro popolare parigino), si direbbe che nulla è cambiato, e penso proprio che nulla debba cambiare, perché questo genere di teatro è rituale. Il pubblico si diverte a sentire i dialoghi, e della trama, forse, si interessa poco, perché è comunque, e dev'essere quello per l'appunto, rituale: il marito disperso in guerra, la povera vedova assediata da voraci pretendenti, come accade in "Tabacco Olandese", è una trama certamente non nuova, ma, quello che rende il pezzo godibile è proprio la leggerezza dei dialoghi, l'ironia che arriva a momenti esilaranti compensata subito da momenti di dialogo serio nel quale filtrano concetti anche educativi senza mai divenire propriamente didascalici.
In "Pulecenella" abbiamo un esempio di commedia dell'arte concentrata, non manca nulla, ci sono anche i Turchi oltre che uno schema tipico di commedia napoletana, e cioè quello, sempre esilarante, del "teatro nel teatro", schema che Giosuè Romano usa anche nell'"Ofelia non mi piace".
E che dire della trama di "Che guaio essere ammalati!" in cui un insegnante, solo e pieno di acciacchi, aspetta trepidante quattro numeri di una quaterna secca, ma la moglie scettica, approfittando della sua assenza, non li gioca mancando l'appuntamento con la vincita. Poi, finalmente a bilanciare la situazione e a sciogliere i nodi della commedia è l'intervento risolutore del genitore "buonanima" (grazie alla "raccomandazione di un Santo che tiene in Paradiso"). La famiglia vince, e così la commedia termina nel giubilo generale. Forse...
Ebbene, lungi dallo stancare, questo ripetere tranquillamente trame, che sono proprie del teatro napoletano, tranquillizza il pubblico e rende più apprezzabile il modo con cui Giosuè Romano tratta l'argomento.
Come dicevo i dialoghi sono di grande levità e di vero e proprio divertimento, i tempi teatrali sono da grande maestro. Un erudito come lo è Giosuè Romano, profondo conoscitore della storia del teatro, non potrebbe sbagliare sulle gag, i divertimenti, gli equivoci, gli scambi di battute che fuorviano circa il significato, basati come sono spesso su semplici assonanze più che su un serio contenuto: tutto questo è un gioco che appassiona l'autore come il pubblico, e si assiste con piacere al divertimento generale. Ma è chiaro che questa materia è delicatissima e solo la grande maestria di Giosuè la rende vicina, sorprendentemente attuale, insomma unica e insostituibile.
...................................................................................................................................................................................Giovanna Marini, gennaio 2008
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